L'ANORESSIA
L'anoressia è uno dei disturbi alimentari più importanti del nostro tempo. Può iniziare a manifestarsi anche in età molto precoce; in questo ultimo decennio si sono osservate fasi di esordio che partono fin dai 10-11 anni. Interessa sopratutto le donne, anche se si riscontrano sempre più frequentemente delle eccezioni al maschile. Le cause scatenanti possono essere molteplici e la loro consapevolezza portano raramente la persona a sbloccarsi da sola. Molto più pregnante è invece conoscere il modo in cui si struttura tale patologia e quali sono le sue dinamiche di persistenza, poiché in questo modo si è sviluppato un metodo terapeutico che ha dimostrato una efficacia ed efficienza risolutiva del disturbo molto alta.
Alla base del problema vi è un forte dimagrimento. Come già detto, per i motivi più disparati, la persona dimagrisce progressivamente, fino a raggiungere e superare una certa soglia di pericolo. Il corpo reagisce difendendosi e producendo al suo interno delle neurotossine eccitatorie che conferiscono una sensazione di energia ed eccitabilità. Qui sta il primo paradosso delle anoressiche, a fronte di una sempre minore introduzione di cibo, sentono al proprio interno una energia instancabile. Di fatto molte di esse sono dei soggetti attivi, irrefrenabili, che non si fermano un istante.
Un altro particolare effetto che si manifesta in chi soffre di anoressia è l'anestesia emotiva. Attraverso il controllo ossessivo e compulsivo sul cibo, drammaticamente ben riuscito, queste ragazze si isolano emotivamente dal mondo. Costruiscono una corazza che le anestetizza dagli altri e dalle delusioni, ma che purtroppo, nel tempo, le imprigiona ancora di più dentro le proprie ossessioni. Le anoressiche finiscono con il rinunciare a tutto, con il bruciare se stesse e la propria vita, ma paradossalmente si sentono protette da ciò, proprio grazie al loro controllo ben riuscito sull'alimentazione, che le porta a non sentire le proprie sensazioni e a non avere paura.
Un altro importante sintomo è la dispercezione corporea: davanti allo specchio si vedono grasse, anzi, più dimagriscono e più incrementano la percezione di avere il ventre prominente, di essere gonfie. Naturalmente, agli occhi di un profano, tutto ciò appare incomprensibile, ma fa parte della dinamica della patologia.
E' poi risaputo l'effetto fisiologico che il dimagrimento produce sulle donne, perdita della fertilità e della femminilità con conseguente blocco mestruale.
Capiamo bene allora che, così come per tutti i disturbi ossessivi e ossessivo compulsivi, i tentativi di soluzioni basati sul convincimento (“tu non sei grassa...”, “devi mangiare se no morirai...”), sull'educazione alimentare (“devi assumere queste sostanze per sostenere il tuo corpo...”), sull'alimentazione forzata col sondino, sulle cliniche per anoressiche e i gruppi di auto aiuto (in cui molto spesso queste ragazze imparano tra di loro nuovi comportamenti patologici, come il vomitare, tagliarsi, etc) si rivelano spesso delle soluzioni palliative o, nel tempo, addirittura amplificatrici del problema.
Come già detto, il disturbo può strutturasi fin dalla prima adolescenza e perdurare nella giovane età adulta, generalmente fino a circa i quarantanni. La terapia breve strategica possiede dei protocolli di trattamento specifici per le due condizioni: uno, da utilizzare nel caso di anoressia giovanile, generalmente adolescenti fino alla maggiore età; ed un secondo per le anoressie consolidate, in cui siano presenti circa dieci anni di malattia.
Nel tipo “adolescenziale”, oltre che la ragazza, è molto importante coinvolgere in terapia i suoi genitori, poiché, attraverso strategie mirate, si utilizza anche il loro supporto per interrompere la spirale patologica della malattia, aiutando la figlia ad uscire fuori dal tunnel. Si tratta di terapie il cui grado di efficacia supera l'80% di successo.
Nel tipo “adulto” si lavora direttamente con la donna “esperta” anoressica, che nel tempo ha costruito attorno a sé un vero e proprio deserto emotivo, isolandosi dal mondo e allontanandosi dalla propria vita e dalle proprie responsabilità. Anche in questo caso la terapia strategica si rivela estremamente efficace, con risultati che si consolidano tra il 70 e l'80% di riuscita.
Trattandosi di un controllo compulsivo sul cibo l'elemento centrale delle due terapie consiste proprio nel rompere dolcemente e gradatamente i rigidi controlli alimentari, concedendosi gradualmente il piacere in ogni ambito della propria vita. Ciò diventa per la paziente come una sorta di cambiamento ad effetto valanga: comincia con lo spingere piano piano una piccola palla di neve, per poi accorgersi che è diventata una valanga inarrestabile che travolge definitivamente il problema.
Alcuni indicatori che evidenziano lo sblocco di tale condizione patologica sono:
* ritrovare la propria femminilità, acquistando un certo peso e curando se stesse, queste ragazze recuperano il normale ciclo mestruale;
* recuperare la propria vera immagine corporea. Paradossalmente, dopo l'aumento graduale di peso in terapia, la paziente, guardandosi allo specchio, non si vede più grassa, ma eccessivamente magra. Questo è il segno che la terapia è a buon punto, che sono cadute le lenti dispercettive della malattia, e che il percorso di guarigione ha preso una svolta decisiva.
L'anoressia è una patologia importante e rigidamente strutturata, ma anche in questo caso, scalfendo e minando la matrice ossessiva del problema, portando la persona a rompere il proprio controllo alimentare, concedendosi sempre di più il piacere, la dinamica di persistenza della malattia si rompe velocemente, e la persona si riappropria del proprio corpo e della propria vita.
CASO CLINICO
MATTIA, IL TREDICENNE ANORESSICO
Una madre mi chiama preoccupata per via di Mattia, suo figlio tredicenne. Negli ultimi anni era stato un ragazzino un po' pienotto e, circa sei mesi fa, aveva deciso di dimagrire, mangiando cibi “sani”. Nei primi mesi il genitore lo lascia fare, gli prepara quello che desidera, soprattutto insalata, verdure e ortaggi. E Mattia perde peso, vede che sta riuscendo a raggiungere il suo obiettivo. Ma dopo un po’ di tempo la madre si accorge che il ragazzino ha cambiato il suo umore, è spesso scontroso, irritabile ed appena ha a che fare con il cibo ed i pasti diventa ancora più rigido, aggredendo la madre affinché diminuisse le porzioni “giganti”. In realtà le porzioni stavano diventando sempre più minute, ma a lui sembrava l’esatto opposto. Anche la nonna, dalla quale Mattia andava a mangiare ogni tanto, aveva notato questo cambiamento e a un certo punto si era seriamente allarmata.
Indico alla signora di venire al mio studio al più presto insieme al figlio. Avrei desiderato che fosse presente anche il padre, ma per motivi di lavoro e per i suoi atteggiamenti sminuenti rispetto al problema non si è mai presentato ai nostri incontri. Dal resoconto dei due appare evidente un problema di anoressia mentale abbastanza avviato e consolidato. Il ragazzino sente di avere un problema con il cibo, ma allo stesso tempo è completamente ossessionato dal peso e non vuole assolutamente ingrassare. In più, cosa praticamente universale nel disturbo anoressico, pratica un’attività fisica esagerata, stando ore per strada a girare in bicicletta.
Facendo il calcolo giornaliero delle calorie il totale giornaliero è a mala pena di 900-1000, mentre in questa età di sviluppo, in un maschio potrebbe arrivare tranquillamente sulle 2700. La sua alimentazione è veramente striminzita, l’unico alimento sostanzioso resistito nel tempo è un piatto di pasta giornaliero durante il pranzo.
Per loro fortuna (mi perdonerete la presunzione, ma vedo e sento in giro gente assolutamente incompetente a trattare questo tipo di problemi, anche nella sanità pubblica) la terapia strategica breve, fondata dal maggiore esponente al mondo di disturbi fobico-ossessivi Giorgio Nardone, ha un protocollo ben consolidato per i disturbi alimentari e, come in questo caso, per l’anoressia giovanile, che è una variante del disturbo ossessivo compulsivo centrata sul cibo.
Il mio modo di condurre il colloquio in prima seduta è molto forte, evocativo, induce in realtà maggiore preoccupazione rispetto al problema, ma non tramite i soliti sermoni e le solite spiegazioni a cui chi ha problemi di anoressia viene di solito sottoposto, ma tramite un dialogo strategico, il cui obiettivo in questo caso è portare la persona e la famiglia ad allarmarsi ancora di più rispetto alla situazione. In questo modo si prepara la strada per la terapia vera e propria.
Sintetizzando, dopo aver convenuto con i familiari, e con lo stesso ragazzino, che continuando in questo modo il problema non potrà che peggiorare, si utilizza una paura più grande che superi la paura di mettere peso. Dico a Mattia ed alla madre: a tutti gli effetti la legge dello Stato prevede che, sotto un certo peso, voi genitori siete responsabili penalmente del dimagrimento del figlio e sarete obbligati a portarlo in ospedale o in clinica; qui (guardando negli occhi il ragazzino), ti metteranno a letto, ti legheranno se necessario, passeranno un sondino per il tuo naso ed inietteranno ogni giorno almeno 3000 calorie di cibi frullati. In questo modo, in due tre settimane, ti gonfieranno come un palloncino. Puoi pensare di fare il furbo una volta uscito e di rimetterti a fare i tuoi giochetti con il cibo, ma se dimagrisci di nuovo sarai costretto di nuovo ad essere legato a letto, farti passare un sondino per il naso ed essere riempito con un orribile e disgustoso cibo frullato, gonfiandoti come un palloncino”.
Dopo un’immagine così forte, ben ripetuta e caricata fino a quando vedo nell’espressione di Mattia la piena preoccupazione, sentendosi quasi senza scampo offro uno spiraglio di luce: “non ti resta che decidere, o scegli di farti ricoverare, legare a letto, farti passare ogni giorno un terribile sondino per il tuo naso e riempirti fino a scoppiare, oppure puoi decidere di recuperare il tuo peso, insieme alla tua famiglia, concordando insieme a me un aumento graduale del cibo, con l’obiettivo di aumentare di soltanto mezzo chilo a settimana. O fai così o i tuoi genitori saranno costretti penalmente dalla legge a metterti in clinica, cosa scegli?”.
Preso tra due fuochi, uno dei quali davvero terribile, Mattia mostra quasi un sollievo nel scegliere il fuoco minore: accettare di mettere mezzo chilo a settimana a casa propria, insieme alla sua famiglia.
A questo punto è stato assolutamente fondamentale concordare insieme al ragazzino i cibi da aggiungere, scegliendoli insieme a lui, soprattutto quelli più gustosi possibili, trovando tutte le possibili alternative per incrementare di circa 500 calorie giornaliere. In realtà so bene che anche aumentando di 500 calorie siamo ancora sotto il fabbisogno per questa età, ma è pur vero che l’organismo è abituato al “risparmio” metabolico, quindi mi aspetto che nella prima settimana questo sarà sufficiente a far aumentare di quel mezzo chilo stabilito, come infatti poi è avvenuto.
Le sedute si sono svolte ogni settimana, insieme alla madre che deve prendere atto della dieta strettamente concordata e preparare assolutamente lei stessa il cibo (fare preparare il cibo al figlio aumenterebbe la sua ossessione per esso) e stare lì con Mattia tutto il tempo del pasto, anche se dovesse metterci delle ore per mangiarlo. Difatti la lentezza nel mangiare è molto frequente in queste situazioni. Appena in una seduta osservo un mancato incremento del peso è quello il segnale che l’organismo si sta abituando e che quindi bisogna aumentare le calorie da assumere, sempre concordandole strettamente con il ragazzino.
Altra cosa importantissima è stata l’inserire gradatamente, anche attraverso piccolissimi assaggi, i cibi più gustosi, quelli che in genere, chi ha questo tipo di disturbo alimentare, evita: mangi una patatina fritta, assaggi un morso di pizza. E’ importante individuare i cibi “vietati” ed introdurne dei piccoli assaggi nell’alimentazione, in questo modo si smonta l’ossessione alimentare che diventa gradatamente il piacere del cibo, cosa assolutamente fondamentale per raggiungere il completo superamento del problema.
Potrebbe apparentemente sembrare una terapia più di tipo alimentare che psicologica. In realtà riuscire a creare un percorso del genere richiede consolidate competenze comunicative, performative e psicologiche. Tra l’altro, così come dimostrato dagli studi e dalle ricerche cliniche sul campo, lavorare direttamente con il cibo velocizza decisamente la rottura dei rigidi schemi mentali ossessivi del paziente.
Per non dilungarmi in questo resoconto, riporto come questa terapia settimanale sia durata circa tre mesi, dopo di che gli incontri si sono svolti dopo due settimane e poi dopo un mese. Nel giro di 6 mesi Mattia è uscito completamente fuori dal problema, vivendo una vita assolutamente normale.
Dopo del tempo ho ricevuto una telefonata entusiasta della madre che mi raccontava di come Mattia, che stava ormai svolgendo il primo superiore, avesse deciso di cambiare scuola trovandosi in questo modo molto a suo agio, fosse molto cresciuto, forte, socievole e sereno.