LA BULIMIA: UNA MIGLIORE DEFINIZIONE
La bulimia (etimologicamente, fame da bue) è un disturbo alimentare caratterizzato dall'irrefrenabile compulsione a mangiare e non sul bisogno del cibo dato dalla fame.
La ricerca intervento strategica, curata dal Prof. Giorgio Nardone ha individuato, al di là delle categorie diagnostiche del DSM, tre specifici sistemi patologici associati al quadro bulimico, così descritti:
I pazienti “boteriani”, in analogia con i famosi quadri di Botero, sono soggetti, uomini o donne, per il quali il cibo è puro piacere: mangiano continuamente, non si abbuffano all'improvviso, ma hanno una costante perdita di controllo sull'alimentazione. Continuerebbero volentieri il proprio stile di vita, incentrato principalmente sul piacere del cibo, ma per motivi medici, spesso gravi scompensi biologici dati dall'obesità, sono costretti a chiedere aiuto specialistico. Gli studi indicano nella loro obesità un fattore protettivo contro la sofferenza psicologica.
I pazienti “carciofo” sono in particolar modo donne. Per loro il cibo ha soprattutto una funzione compensativa rispetto alle emozioni che esperiscono a livello relazionale. Come i carciofi, esternamente brutti a vedersi, posseggono una tenera polpa al loro interno. Il grasso ha quindi la funzione di proteggere dalle relazioni con gli altri, in particolare dal sesso opposto, come una sorta di corazza esterna. A differenza dei boteriani cercano di lottare contro il peso, a volte riescono per un po' di tempo, ma finiscono per ricadere nella bulimia, solitamente in concomitanza di eventi percepiti come paurosi o dolorosi.
I pazienti "yo-yo" sono spesso persone combattive, sono capaci di sostenere dure diete restrittive, anche per lunghi periodi, perdendo molto peso. Ma con il passare del tempo i cibi vietati diventano sempre più desiderati, arrivando al punto di sbracare totalmente e recuperare con velocità i chili persi, purtroppo spesso con gli interessi. La loro autostima ed il loro umore sono legati al controllo del cibo: fin quando sentono di gestirlo si sentono bene, quando, per le troppe limitazioni sul piacere a tavola, finiscono con il perderne il controllo, si buttano drammaticamente giù scoraggiandosi.
La tecnica terapeutica iniziale, con le tre tipologie di pazienti, è identica. Si propone dapprima una sorta di “esperimento” al paziente: la dieta paradossale, che in realtà costituirà lo stile di vita finale del risultato della terapia. Si propone dunque:
“La invito a fare un esperimento terapeutico, da qui alle prossime due (o tre) settimane, mangi solo ciò che le piace di più, ma solo e soltanto nei tre pasti principali. Vorrei che lei concentri i suoi cibi preferiti a colazione, pranzo e cena, nelle quantità che più gradisce. Se preferisce il dolce mangerà il dolce, se vuole la pizza mangerà la pizza, ma solo nei tre pasti. Fuori pasto, niente. Vediamo se ci riesce”.
Con questa prescrizione si blocca in primo luogo il circuito patologico del tentativo esasperato del controllo alimentare che ha portato puntualmente il paziente alla perdita di controllo e alle abbuffate. L'effetto psicologico è molto potente, il cibo che piace, non più vietato, viene consumato frequentemente i primi giorni, ma poi perde di interesse, si preferisce mangiare altro, assumendo il proprio cibo preferito non più con la compulsione di chi cerca di vietarselo, ma in modo naturale ed equilibrato nel tempo. Il paziente torna infatti in seconda seduta notando di non esserne più attratto come prima. “Se te lo concedi puoi rinunciarvi, se non te lo concedi sarà irrinunciabile”, diceva Oscar Wilde. L'effetto è anche a livello biologico: la nostra digestione rallenta quando si protrae il consumo di un certo tipo di alimento, diminuendone progressivamente la sua velocità d'ingestione e la sua appetibilità.
La dieta paradossale ha quindi la finalità di recuperare il naturale rapporto con il cibo, basato sul piacere, ma che sia autoregola in base ai bisogni del nostro organismo. In parole povere, gradualmente ciò di cui ha bisogno il nostro corpo e ciò che piace alla persona tornano a coincidere.
Le manovre terapeutiche variano poi nel caso in cui la persona non sia riuscita ad astenersi dal cibo al di fuori dei pasti. In questo caso si utilizzano tecniche di prescrizione del sintomo per prenderne possesso e smontare la sua valenza coercitiva (si tratta di ulteriori prescrizioni specialistiche).
Queste manovre terapeutiche devono però essere parallele ad un sostegno di tipo psicologico-emotivo, soprattutto con le pazienti carciofo. Bisogna ricordare che per queste persone il grasso corporeo ha un'importante funzione protettiva, per cui bisogna accompagnarle ad esporsi, un po' alla volta, al confronto con gli altri. E' indispensabile guidarle a concedersi gradualmente dei piccoli piaceri e a vivere il rapporto con l'altro sesso senza il timore di perdere il controllo. In questo modo l'intervento è destinato ad avere un sicuro successo che si manterrà nel tempo.
Nelle tre varianti della bulimia l'obiettivo finale è quello di raggiungere un equilibrio psicofisico, basato su un sano rapporto con l'alimentazione ed un'adeguata attività fisica giornaliera, tarata sulle possibilità dell'individuo, e scelta secondo i propri gusti personali. Anche nelle attività motorie è importante concedersi il piacere del movimento, secondo le proprie preferenze, altrimenti si corre il rischio di detestare il movimento e di abbandonarlo velocemente.
Ci sono ad esempio persone che arrivano a detestare la corsa, perché la impongono a se stessi in quanto attività sportiva brucia grassi. Ma in questo modo finiscono spesso con l'abbandonarla, tornando ad una vita sedentaria. Ad individui del genere, se ad esempio prediligono gli sport di gruppo, si prescrive di praticarli con maggiore assiduità. In questo modo il movimento viene vissuto con piacevolezza e si manterrà alta la motivazione a mantenerlo con frequenza. Con chi predilige le attività motorie più solitarie si sfrutteranno invece queste. Bisogna che la persona si conceda il piacere in ogni ambito della propria vita e cavalcare le sue preferenze come leva di cambiamento positivo.
Il fine del processo terapeutico è dunque quello di svincolare la persona dal paradosso del controllo sul cibo che fa proprio perdere il controllo su di esso, abbinato ad un'abitudine motoria piacevole che diventi parte integrante del proprio stile di vita.
Il protocollo di psicoterapia breve strategica ha mostrato in questi casi un grado di successo e di mantenimento dei risultati nel tempo pari all'88% dei casi.
DIMAGRIRE MANGIANDO
quando le diete alimentano il problema
Angela stava concludendo brillantemente la sua terapia per gli attacchi di panico. Avviene spesso che, quando i pazienti superano i propri problemi, palesino poi altre difficoltà, che si evidenziano perché la precedente patologia è ormai superata (ubi maior minor cessat).
La donna aveva cominciato a fare diete circa dodici anni prima, attraversando le caratteristiche fasi, comuni alla maggioranza delle persone che cercano per anni di dimagrire con le diete, senza successo.
A questo punto mi è d’obbligo fare alcune fondamentali considerazioni. Le diete funzionano. Qualunque regime alimentare restrittivo, equilibrato o squilibrato che sia, produce il tanto agognato dimagrimento. Peccato che ciò, di frequente, funzioni nel breve-medio periodo. Come ho già ampiamente documentato nel mio articolo sulle diete circa il 90% delle persone sottoposte a regimi alimentari strettamente controllati finiscono, con il passare del tempo, con il cedere alla tentazione dei cibi che si vietano, finendo con il perdere il controllo e recuperando inesorabilmente peso.
Anche angela possedeva questo “curriculum”. Aveva seguito con buoni risultati le prime diete, dimagrendo. Ma dopo ogni “successo” subentrava il desiderio, represso per mesi, del cibo vietato, perdendo il controllo con mangiate abbondanti e frequenti, riprendendo il peso, ogni volta con gli interessi.
Dopo le prime esperienze restrittive, le successive diete furono dei “quasi successi”. All’inizio la donna perdeva peso, ma a metà percorso si ritrovava a fare i conti con tutto ciò a cui aveva rinunciato, perdendo puntualmente il controllo alimentare e accumulando nuovi chilogrammi, nuovamente con gli interessi.
Ma veniamo al giorno in cui angela ha manifestato l'intenzione di risolvere il suo problema. La donna ripeteva a se stessa di dover fare la dieta, senza però metterla in pratica. Provava a limitarsi con il cibo, ma nello stesso momento in cui cercava di auto imporsi ciò, finiva con lo sgranocchiare biscotti o altre ghiottonerie. Pensava che doveva evitare gli eccessi, ma di fatto mangiava in continuazione. Aveva costruito nel tempo un rapporto paradossale con il cibo: nello stesso istante in cui voleva vietarselo o ridurre finiva con il cedervi.
Valutata la situazione, considerando che la donna rincorreva la stessa soluzione, senza aver mai risolto definitivamente il problema, da ben dodici anni, le proposi di cambiare strategia e di affidarsi a me e alle mie indicazioni che le avrebbero permesso di costruire un nuovo e più equilibrato rapporto con il cibo. Dovevamo però cominciare da un esperimento.
Indicai dunque di lasciarsi andare a tavola a tutto ciò che voleva. Poteva mangiare il cibo che più desiderava, nella qualità e nella quantità. Se aveva voglia di pizza, di cornetti, o altro, poteva mangiarne a completa sazietà. Diedi una sola, importante, forma di controllo. Poteva mangiare solo nei tre pasti principali, al di fuori di essi non avrebbe toccato altro. Diedi poi appuntamento ad un mese di distanza, per permettere di poter osservare i risultati dell’indicazione.
Al successivo incontro la donna mi raccontò di come si era data da fare a tavola. Quasi ogni sera, con il suo gruppo di amici, avevano organizzato delle mangiate in cui si davano veramente alla pazza gioia e lei vi aveva sempre partecipato “attivamente”. Anche a colazione e pranzo aveva mangiato quello che le andava di più, concedendosi i cibi in passato vietati.
Ma stava accadendo qualcosa. Effettivamente si era concessa, soprattutto nei primi giorni, i cibi classicamente “vietati”, perché dolci, calorici, o altro. Ma successivamente non ne aveva più avuto così tanta voglia, aveva cominciato a mangiare normalmente.
Di quanto era aumentato il suo peso dopo un intero mese di assenze di regole alimentari (a parte la condizione di mangiare solo a colazione, pranzo e cena), e nonostante le abbondanti cene con gli amici? Era ingrassata di un chilo; un solo chilo in un mese di piena libertà. Il periodo in questione era, tra l’altro, quello tra dicembre e gennaio, a cavallo delle feste e quindi delle abbondanze a tavola.
Come era stato resistere tra un pasto e l’altro? Facilissimo, non si era nemmeno posta il problema. Sapeva che il pasto successivo sarebbe stato pienamente soddisfacente. Aveva mangiato solo della frutta a metà mattinata, tra la colazione e il pranzo, poiché, soffrendo di gastrite, non poteva stare troppe ore con lo stomaco vuoto.
Angela era effettivamente sorpresa del risultato, pensava che sarebbe ingrassata sul serio, invece senza aver mai effettuato alcun controllo alimentare aveva messo su solo un chilo. Ma in più si era resa conto che stava accadendo qualcosa. Aveva cominciato a mangiare in maniera equilibrata e sana. Sapeva che poteva concedersi qualunque tipo di alimento, ma nei fatti i cibi in passato vietati non erano più così desiderabili e ne aveva spesso, naturalmente e senza alcuna forzatura, fatto a meno.
Spiegai allora alla paziente che l’indicazione non era un esperimento, ma una vera e propria strategia terapeutica, comprovata su migliaia di casi clinici, chiamata “dieta paradossale”. Questa indicazione funziona in tutti quei casi in cui, l’eccessivo e ripetuto tentativo di controllo alimentare, attraverso la restrizione delle calorie, genera nel tempo l’effetto opposto: cedere costantemente alla tentazione di ciò che è vietato e quindi psicologicamente più desiderabile.
Rinnovai allora alla donna il proprio compito terapeutico. Mangiare, solo e soltanto nei tre pasti, nella qualità e nella quantità che desiderava. A metà mattinata, vista la sua gastrite, avrebbe potuto comunque mangiare della frutta.
Diedi anche una nuova indicazione: il “piacevole movimento”. La vita della paziente era troppo sedentaria, pochi spostamenti e tutti con la macchina. “Premurati ogni giorno di fare qualche attività fisica piacevole. Non è necessario che ti iscrivi in palestra. Potresti ad esempio, se ti piace, guardare le vetrine, fare delle passeggiate per negozi. Scegli tu quali attività movimentate introdurre nella tua vita, l’importante è che sia per te piacevole e che non la vivi come un tedioso dovere".
Rividi angela il mese successivo. Era dimagrita di due chili e aveva mangiato tutto quello che aveva voluto. La pizza era sempre la sua pietanza preferita, ma sapeva che poteva permettersela ogni volta che avesse desiderato. Se la concedeva, naturalmente e senza imposizioni, una volta alla settimana. Insieme al gruppo di amici avevano deciso di comune accordo di darsi una calmata riguardo l’organizzazione delle laute cene, effettivamente si erano resi conto di stare esagerando. Per il resto conduceva una dieta equilibrata, senza eccessi particolari. Qualche giorno capitava che mangiasse di più, altri aveva meno appetito e mangiava di meno, senza alcuna forzatura. Era il suo corpo, libero dalle imposizioni psicologiche, e le sue sensazioni che la guidavano dolcemente e naturalmente nel nuovo rapporto con il cibo.
Per quanto riguarda l’indicazione del “piacevole movimento” la paziente aveva fatto solo delle piccole, saltuarie, passeggiate. I precedenti anni di pigrizia (e di attacchi di panico, chiusa spesso in casa) la condizionavano. Stava comunque cominciando a sbloccarsi anche da quel punto di vista.
Rividi la paziente il mese successivo, era leggermente ingrassata, ma aveva dovuto assumere cortisone per un problema di salute. Era normale che avvenisse ciò. Ma dal punto di vista del rapporto con il cibo era soddisfatta: constatava pienamente il fatto di mangiare in modo equilibrato.
Vidi ancora angela dopo un mese, poi un’ultima volta dopo altri due mesi e mezzo. Partendo da dicembre eravamo giunti alle porte dell’estate. Era raggiante. Il problema degli attacchi di panico era un pallido ricordo. Il rapporto con il cibo ormai naturale e sano. Anche il “piacevole movimento” era diventato una consuetudine. “Mi vedi più sgonfia?” – mi disse. Non chiesi nemmeno di quanto fosse dimagrita. Ci salutammo pienamente soddisfatti dei risultati ottenuti e del nuovo stile di vita consolidato.
A parte le spiegazioni già date, penso che la logica del problema di angela, comune a tante altre persone, si riassuma perfettamente nel celebre aforisma di Oscar Wilde: “Se te lo concedi potrai rinunciarci, se non te lo concedi diventerà irrinunciabile”.