MANGIARE PER VOMITARE:
IL VOMITING
Nel piacere dei sensi il disgusto confina con il godimento,
Il vomiting è un disturbo alimentare, dalla matrice ossessiva compulsiva, che consiste nell'ingurgitare e vomitare, più volte al giorno, grandi quantità di cibo. Erroneamente nel manuale diagnostico dei disturbi psichici viene classificato come anoressia o bulimia con condotte di eliminazione. In realtà, così come ampiamente dimostrato su migliaia di casi clinici dalla ricerca intervento del Prof. Giorgio Nardone, si tratta di una patologia a se stante, che si struttura in modo completamente diverso dall'anoressia e dalla bulimia. Vediamo dunque di che si tratta.
La ragazza (il disturbo è quasi assente al maschile) è ossessionata per la propria linea. Cerca di attuare un controllo sull' alimentazione che può sfociare in tentativi di diete, che possono raggiungere anche fasi anoressiche. A un certo punto, spesso anche su suggerimento di altre amiche con disturbi alimentari, non riuscendo a rinunciare al piacere di mangiare, comincia a vomitare volontariamente ciò che ingerisce. La soluzione apparentemente funziona. Il peso sembra controllato, il piacere del cibo è concesso e le cose sembrano andare bene. Ma purtroppo il risvolto della medaglia fa pagare un prezzo molto alto.
Per prima cosa, con il passare del tempo, mangiare e vomitare ripetutamente prende un'inaspettata connotazione. Questo rituale ossessivo compulsivo di controllo sul cibo, basato inizialmente sulla paura di prendere peso, se reiterato, assume un aspetto sempre più piacevole, diventando il piacere più grande nella vita della ragazza.
Il fisiologo tedesco Henri Laborit ha dimostrato infatti che: "Un qualsiasi comportamento ripetuto nel tempo può assumere per la persona una forma di compiacimento". Lo stesso filosofo greco Epicuro, famoso edonista per la sua etica del piacere, alternava a giornate di digiuno a pane e acqua, giornate di cibo sfrenato che vomitava puntualmente.
Nel tempo il problema si struttura in un modo così rigido che queste ragazze cominciano con il rinunciare a interi pezzi della propria vita. Diventano incapaci di provare il piacere sessuale orgasmico, proprio perché sostituito dalla loro compulsione alimentare che assorbe l'intera giornata. Il pensiero di abbuffarsi, mangiare in pochi minuti anche un intero pacco di biscotti, per poi correre in bagno e vomitare tutto, diventa l'attività più importante della giornata. La patologia può durare anche diversi anni. All'inizio per procurarsi il vomito ricorrono alla strategia delle dita in gola, ma le ragazze più esperte, divenute nel frattempo donne mature, riescono anche a vomitare automaticamente con una veloce contrazione dell'addome.
Nel primo periodo si attraversa una fase che potremmo definire “luna di miele” con il problema. La ragazza è presa da veri e propri raptus, paragonabili ad un'intensa attività erotica, una sorta di fuga con il proprio “amante segreto”. Con il passare degli anni, trovandosi in mezzo al deserto della propria patologia, avendo rinunciato a tutto nella propria vita, la donna, sia pur con minore entusiasmo, continua comunque a mangiare e vomitare ripetutamente. Si rende conto che la propria compulsione è altamente controproducente, ma non riesce a fare altrimenti.
In questa spirale patogena possono svolgere un ruolo importante anche i familiari di queste ragazze che, cercando di limitare le abbuffate e vomitate della figlia, possono arrivare a chiudere a chiave la credenza o a nascondere il cibo. Ma purtroppo ciò alimenta ancora di più il problema: in questo modo mangiare per vomitare diventa ancora più piacevole, poiché vietato, e quindi estremamente trasgressivo.
Da un punto di vista psicologico il risultato è quindi: terra bruciata intorno a sé, rinuncia graduale a tutti i piaceri della propria vita, anche se possono insorgere altri rituali patologici piacevoli come lo shopping compulsivo o il self harming (quelle persone che si procurano volontariamente dei tagli sul proprio corpo).
La prospettiva della salute fisica purtroppo non è per niente migliore. L'aspetto diventa sempre più emaciato, le occhiaie marcate e lo sguardo sempre più perso nel vuoto. I denti, i capelli, la pelle e gli organi interni risentono fortemente della deprivazione alimentare. L'organismo cerca di adattarsi, prova ad assimilare in quel brevissimo tempo di latenza tra il mangiare e vomitare le sostanze nutritive che gli necessitano, ma in tale deprivazione assorbe anche quelle componenti del cibo che normalmente la nostra digestione scarterebbe. Il corpo si sostiene quindi con poco, e quel poco è costituito soprattutto da “scarti” alimentari.
Questo disturbo, che come sopra detto viene erroneamente scambiato dai più come anoressia o bulimia con condotte di eliminazione, costituisce statisticamente la maggioranza dei disturbi alimentari con oltre il 60% della casistica.
La terapia strategica breve ha formulato degli specifici protocolli di trattamento per questa problematica, che si differenziano per il grado e lo stato della persona affetta da vomiting. Vi sono dunque tre protocolli di intervento:
* Per le vomitatrici inconsapevoli: sono spesso donne rigide e moraliste, o ragazzine che non si rendono ancora conto che il proprio rituale ha assunto delle connotazioni di piacere trasgressivo e perverso;
* Per le vomitatrici consapevoli ma pentite: sono donne con diversi anni di patologia alle spalle, che si rendono conto di aver creato un deserto attorno a sé, ma che non riescono a rinunciare al proprio rituale;
* Per le vomitatrici consapevoli e compiaciute: sono quelle ragazze che si trovano in fase “luna di miele” con la propria compulsione, magari a parole possono dichiararsi volenterose di cambiare, ma in realtà non vogliono rinunciare a quello che è diventato il loro piacere più grande.
In tutti e tre i casi, con le dovute differenze, l'intervento strategico, alleandosi con la paziente, destruttura il rituale, rendendolo sempre meno importante e necessario, fino ad annullarsi su se stesso, recuperando gli aspetti della vita reale della ragazza, cui aveva precedentemente rinunciato.
Anche in questa terapia la percentuale di successo si dimostra molto alta: l'efficacia risolutiva del disturbo e il raggiungimento del risultato nel breve tempo (circa sei mesi) si attesta sopra l'80% dei casi.