“Il timoroso non sa cosa significa essere soli:
dietro la sua poltrona c’è sempre un nemico”
F. Nietzsche
COSA E’ UNA FOBIA
La fobia è una sconsiderata reazione di paura verso situazioni, animali, oggetti, percepite come estremamente pericolose, ma che generalmente per gli altri non sono tali.
La persona può essere lucidamente cosciente dell’irrazionalità della sua paura, eppure a livello emotivo, la sensazione di terrore è automatica e paralizzante.
Le fobie più comuni sono:
· Agorafobia: paura di allontanarsi da soli da luoghi ritenuti sicuri;
· Zoofobia: paura degli animali;
· Eritrofobia: paura di arrossire;
· Patofobia-ipocondria: paura di avere una malattia grave;
· Paura di volare ed acrofobia: paura delle altezze;
· Paura di guidare o di guidare in autostrada;
· Paura di perdere i propri cari;
Chiunque può sviluppare e strutturare una paura patologica verso qualunque oggetto, essere vivente o situazione.
COSA PEGGIORA LA SITUAZIONE?
Chi ha strutturato una fobia può mettere in atto una serie di strategie fallimentari:
Evita le situazioni legate alla paura: Ciò all’inizio tranquillizza; ma con il tempo la paura aumenta ancora di più perché ciò che ci allontana dalla realtà si ingigantisce nella mente, diventando terrore incontenibile.
Chiede aiuto: se la persona non può proprio fare a meno di affrontare le situazioni per lei terrorizzanti può farsi letteralmente “scortare” da un parente o conoscente per sentirsi protetta. Questa strategia, pur facendo sentire sicuri al momento, alimenta la percezione di essere incapaci di affrontare il problema.
Utilizza farmaci o calmanti: lo psicofarmaco attenua certe sensazioni vissute come sgradevoli o spaventose. Purtroppo anche questo intervento, a lungo andare, può amplificare il problema, poiché, se è vero che inibisce la sensazione dell’ansia, non rende di capaci di superare le proprie paure, finendo col delegare il nostro vissuto al farmaco.
COME INTERVENIRE?
A fronte di paure talmente invalidanti da sfuggire al controllo razionale, l’intervento risolutivo si basa su logiche non convenzionali. Come tu stesso hai sperimentato, i tentativi di rassicurazione o la semplice logica del - non c'è niente di cui aver paura - falliscono miseramente.
Se hai perso la gestione del tuo problema, vivi nella paura ed eviti costantemente le situazioni che ti spaventano è indicato farti aiutare da uno specialista competente.
La terapia breve strategica, da me utilizzata, risolve totalmente le sindromi fobiche in oltre il 90% dei casi (Fonte: Centro di Terapia Strategica Breve di Arezzo e Studi affiliati).
"Non c’è notte che non veda il giorno"
W. Shakespeare
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I TERRIFICANTI SCARAFAGGI
CASO CLINICO TRATTATO
Alberto è un uomo che ha superato i 40 anni, è sposato ed ha due figli. Si presenta nel mio studio di Psicoterapia a Trapani dicendo di avere una invalidante paura per gli scarafaggi: solo il pensarli lo disgusta e se ne spunta qualcuno in casa si ritira chiamando il figlio in soccorso. Questo problema, che era sorto come un ribrezzo e disgusto verso tali esseri, è sempre più aumentato nel corso degli anni ed ora si è deciso a chiedermi aiuto perché la paura è diventata angoscia invalidante.
La terapia nei casi di fobie per animali è molto particolare e consiste nel confrontarsi in modo controllato e graduale con l'oggetto delle proprie paure, esordii quindi così:
“Lei teme gli scarafaggi, la sola idea di incontrarne qualcuno la terrorizza, quindi non posso assolutamente chiederle di affrontare tali “terribili” animali. Ma c'è una cosa che può fare... quando si deve affrontare un nemico il primo passo è conoscerlo bene. Quello che le chiedo di fare nelle prossime settimane è di studiare tali animali; potrà trovare su internet tutte le informazioni che desidera. Che varietà di scarafaggi esistono, dove vivono, che grandezze raggiungono, come si riproducono, come si sviluppano? Lei deve farsi una bella cultura sugli scarafaggi; ogni giorno, per una ventina di minuti, deve fare come uno studioso etologo che conosce tutti i comportamenti dell'animale che prende in esame. So che le immagini che incontrerà in rete le daranno fastidio, quindi eviti di guardale, le copra con la mano o se vuole può copiare e leggere il testo in un documento di word”.
L'uomo non rimase impreparato riguardo il compito assegnatogli. Doveva pur cominciare con il conoscere il “nemico” e l'indicazione non era così preoccupante come si era aspettato che fosse prima di iniziare la terapia. Lo congedai dando l'appuntamento a due settimane dopo.
Al secondo incontro, dopo i primi brevi convenevoli, Alberto descrisse spontaneamente, con dovizia di particolari, tutto quello che aveva appreso sugli scarafaggi. Era rimasto colpito dalla loro capacità di adattamento all'ambiente, li aveva studiati nella loro struttura e conformazione fisica e adesso mi istruiva su di essi. Mi complimentai per il suo impegno ed il suo studio e chiesi, quasi sornione, cosa avesse fatto di fronte alle immagini che inevitabilmente aveva trovato in rete. Rispose che all'inizio erano state per lui fastidiose e disgustose, ma che aveva studiato direttamente su internet e, anche se inizialmente le copriva o evitava di guardarle, con il passare dei giorni si era abituato e riusciva a tollerarle.
Mi mostrai allora cautamente soddisfatto, ma rincarai la dose: “Adesso dobbiamo perfezionare questa conoscenza, continui a studiare ed acquisire materiale ogni giorno ma, utilizzi anche dei documentari o dei filmati per vedere all'atto pratico i loro comportamenti, sono certo che in rete ne troverà a centinaia”.
L'uomo si congedò contento e fiducioso per il nuovo compito più impegnativo da dover svolgere.
La terza seduta fu quasi una fotocopia della seconda, ma Alberto mi parlò con ancora più enfasi ed entusiasmo di tali animali, descrivendomi per diversi minuti tutto quello che aveva imparato.
Anche in questo caso, quasi in modo distratto, chiesi se avesse provato paura nello studiare direttamente dai filmati. “Per niente”, fu la risposta.
“Bene – dissi – adesso dobbiamo continuare con la terapia: ogni tanto continui a studiare gli scarafaggi su internet, ma soprattutto dovrà svolgere giornalmente un compito molto particolare. Dopo pranzo vada in una stanza di casa sua in cui sa che potrà stare tranquillo, si mette comodo su una poltrona e carichi una suoneria a squillare esattamente 30 minuti dopo. In questo tempo voglio che lei si sforzi il più possibile di pensare a tutte le sue peggiori fantasie rispetto agli scarafaggi. Immagini di incontrarli, che la inseguono, che sono sporchi, che le salgono di sopra. Si lasci andare a tutte le sue peggiori immagini. Appena suona la sveglia, stop. E' finito tutto, si alza, va a sciacquarsi il viso e riprende la sua giornata”.
L'uomo rimase esterrefatto da tale indicazione, sembrava un compito davvero terrificante. “Ma in questo modo avrò tanta paura” - disse - “è proprio quello che le sto chiedendo – risposi – ne riparleremo al prossimo incontro”.
In quarta seduta l'atteggiamento di Alberto era interdetto, mi disse subito che non era riuscito a svolgere bene il compito. I primi giorni aveva avuto un po' di paura immaginando le sue peggiori fantasie, ma successivamente queste erano molto diminuite, anzi, più si sforzava di pensare al peggio e meno cose gli venivano in mente, ci aveva provato a stare male ma proprio non c'era riuscito.
E lì ti volevo! “Come spieghi tutto ciò?” - feci tale domanda mostrandomi assolutamente non sorpreso da tale sua reazione. “Lei già lo sapeva!” - rispose meravigliato.
A questo punto diedi le dovute spiegazioni. Quello che il paziente, come tutti i fobici provano in questo caso è il così detto effetto paradosso. Mentre prima provava a scacciare le proprie paure cercando di non pensarci, ma facendo ciò ci si perdeva inesorabilmente dentro, adesso ha sperimentato la sensazione di andare incontro ai propri fantasmi provandone... la loro inconsistenza. E' un po' come spegnere il fuoco aggiungendo tanta legna fino a farlo soffocare. La logica comune suggerirebbe di evitare di fare questa cosa, ma se aggiungiamo tanta legna il fuoco si estingue perché non ha più aria.
Lo stesso avviene con le paure patologiche, se ci mettiamo nelle condizioni di, dapprima solo mentalmente, sperimentarle ripetutamente, ci accorgiamo che non fanno più timore. Il paziente rimase molto meravigliato da tale spiegazione, ma io avevo deciso di darla solo dopo lo svolgimento del compito, preferendo che lui stesso ne sperimentasse prima l'effetto.
“Adesso siamo a due terzi della terapia – dissi – da qui alla prossima volta che ci vedremo dovrà calarsi in modo più sistematico nelle sue peggiori fantasie, pensando volontariamente alle sue paure 5 volte al giorno per 5 minuti (evito per motivi di sintesi di riportare l'intera prescrizione terapeutica). Ci congedammo così.
La quinta seduta fu ancora più entusiasta, l'idea degli scarafaggi non faceva proprio più paura, adesso era Alberto a chiedermi di affrontarli direttamente, ma voleva sapere come. Risposi di andare cauti, perché in questo modo saremmo arrivati fino in fondo. Quello che doveva fare era “soltanto” fare una passeggiata ogni giorno all'aperto: “si giri intorno per cercare gli scarafaggi e se ne vede uno, lo studi da lontano, tanto ormai lei è esperto in materia. Assolutamente si tenga ad una distanza di sicurezza, deve evitare di avvicinarsi troppo, si avvicini soltanto fino al limite in cui non sente alcuna paura. L'indicazione fu accettata con estrema facilità.
Alla sesta seduta Alberto era molto fiducioso. Era stata una faticaccia trovare degli scarafaggi ad inizio di aprile, ne aveva trovato solo uno, morto, in un campo sportivo. Chiesi a quale distanza da esso si era dovuto fermare per non sentire paura. “Distanza? L'ho guardato proprio da vicino, per diversi minuti e non mi ha fatto alcuna paura!”. Mi congratulai con lui per i risultati che aveva raggiunto. L'obiettivo finale era proprio a portata di mano. Diedi la stessa identica prescrizione: assolutamente doveva avvicinarsi fino al limite in cui avrebbe sentito la paura, se ce ne fosse stata; in fondo si era confrontato “solo” con uno scarafaggio morto.
Dopo due settimane, alla settima seduta, l'uomo riferii di avere incontrato qualche scarafaggio, soprattutto di quelli neri, poiché era stato in campagna. Li aveva osservati per bene e molto da vicino. Aveva anche incontrato una blatta, che si trova spesso in città o negli appartamenti e si era sentito ridicolo a rincorrere tale animaletto che scappava da lui, ma anche divertito per il fatto che non provava alcun timore.
“Quando posso ammazzarne uno?" - chiese di punto in bianco. Di fronte a tale, ingenua richiesta feci una bella risata alla quale rispose allo stesso modo.
Diedi allora l'ultima indicazione della terapia: “Adesso c'è da compiere solo il rito finale: porterai in macchina con te una piccola paletta per la polvere e se troverai uno scarafaggio in giro lo calpesterai, poi prenderai la paletta raccogliendolo e lo butterai nel primo contenitore per rifiuti che trovi a portata di mano; se lo trovi in casa farai la stessa cosa”. “Va bene – rispose lui – però se troverò uno scarafaggio nero di campagna non lo ucciderò, mi stanno simpatici! Ucciderò solo le blatte marroni”. Anche in questo caso facemmo una risata insieme e dissi: “quando avrai effettuato il rituale mi invierai un sms con scritto: rituale effettuato. A quel punto non ci sarà nemmeno più bisogno di vederci. Se non dovessi riuscire nel compito prenderai un nuovo appuntamento e se sarà il caso aggiusteremo la terapia”. Ci congedammo così, sapendo che probabilmente non ci saremmo rivisti.
Circa tre giorni dopo ricevetti un sms con scritto: rituale effettuato, grazie!
Ci sono volute sette sedute per superare la fobia con la quale l'uomo conviveva ormai da anni e che nel tempo era sempre più peggiorata. Ciò sta ad indicare che anche delle problematiche consolidate possono sbloccarsi rapidamente.
A conclusione di questo resoconto clinico cito uno splendido aforisma di Seneca: le cose non le affrontiamo perché sono difficili, ma sono difficili perché non le affrontiamo.